La nuova Ue: dall'unione dei capitali alla politica industriale

Il Consiglio è chiamato a unire tutti gli Stati per competere con Usa e Cina mobilitando investimenti pubblici e privati

La nuova Ue: dall'unione dei capitali alla politica industriale
di Gabriele Rosana
Mercoledì 8 Maggio 2024, 17:04 - Ultimo agg. 9 Maggio, 07:45
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Non solo armi: l’Europa riparte dalla sua sicurezza a tutto tondo.

In cima alla lista finisce anche quella economica, con il proposito dichiarato di rendere il Vecchio continente in grado di competere alla pari con Stati Uniti e Cina, senza finire schiacciato nella nuova corsa globale ognuno per sé. Mobilitando non solo i (limitati) investimenti pubblici, ma pure i risparmi privati che “dormono” in banca.

E intanto, a Bruxelles si mette gradualmente in moto la macchina amministrativa che, replicando lo schema di gioco del Pnrr, sarà chiamata a far rispettare le regole della riforma del Patto di stabilità e crescita. 

SUL TAVOLO

Sono i dossier economici sul tavolo del nuovo ciclo politico europeo, che prenderà il via all’indomani delle elezioni del 6-9 giugno (sabato 8 e domenica 9 in Italia), con la scelta dei vertici delle istituzioni Ue chiamati, nei prossimi cinque anni, a dare seguito alle priorità del nuovo corso. Che avrà al centro un po’ meno di “Green Deal”, il maxi-piano verde azzoppato dal fuoco amico politico, e un po’ più di “Security Deal”, come ha ammesso la stessa presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

A indicare la rotta, nel tentativo di appianare le solite divisioni tra le capitali dei Ventisette, sono due report. Entrambi affidati ad ex premier italiani. Il primo, quello sul futuro del mercato unico Ue a 30 anni dalla sua nascita, è stato presentato dal suo autore, Enrico Letta, oggi a capo del centro di ricerca intitolato a Jacques Delors, ai leader dei Paesi Ue nel corso del summit straordinario di aprile. Quello a cui sta lavorando l’ex numero uno della Bce Mario Draghi, dedicato alla competitività dell’Unione europea, invece, dovrebbe essere protagonista del primo Consiglio europeo dopo le elezioni, a fine giugno.

Gli obiettivi

A Bruxelles, però, hanno già creato quello che, da queste parti, chiamano un “sense of urgency”. Agire subito, cioè, oppure l’Europa rischia di perdere il treno. Draghi ha fatto appello a un «cambiamento radicale», Letta ha detto che siamo davanti «all’ultima finestra di opportunità per agire insieme», mettendo in piedi un’autentica «politica industriale comune». L’Unione che va in ordine sparso, che cresce a fatica e non riesce a superare la frammentazione, del resto, ha implicazioni molto concrete. Ad esempio: «300 miliardi di euro lasciano l’Europa ogni anno, calcola la Bce, per fluire verso gli Stati Uniti», dove trovano un ambiente più favorevole e occasioni di investimento e rendimenti interessanti che mancano nel continente, ha suonato l’allarme l’ex premier.

Sono risorse che l’Ue dovrebbe, invece, trattenere, attirandone al tempo stesso di nuove dall’estero, si legge nel report. 

I conti

Utili, ad esempio, a finanziare la doppia transizione verde e digitale e l’aumento delle spese per la Difesa (a febbraio, Draghi calcolava che servirebbero almeno 500 miliardi di euro all’anno), visto che la coperta dei fondi pubblici è sempre troppo corta. E che i frugali frenano di fronte alla prospettiva, evocata a più riprese, di ripetere l’esperienza del Recovery Plan, tornando a emettere debito comune forti del rating da tripla A della Commissione. L’Ue, tuttavia, dispone da parte sua di almeno 33mila miliardi di euro di risparmi privati che «andrebbero incanalati nelle nostre aziende», ha suonato la carica il capo del Consiglio europeo Charles Michel

La soluzione al centro del rinnovato pressing Ue è il completamento dell’unione del mercato dei capitali. Una maggiore integrazione del mercato dei servizi finanziari Ue è in stallo da più di un decennio, tanto che la Francia ha di recente proposto di andare avanti con chi ci sta, un blitz accompagnato da un’inedita apertura di massima della Germania. A mettersi di traverso, però, continuano a essere quei Paesi più piccoli con piazze finanziarie la cui attrattività ha, finora, beneficiato dall’assenza di regole comuni; un fronte capeggiato da Lussemburgo e Svezia, spalleggiati, tra gli altri, da Irlanda ed Estonia. 

Gli atti

Sullo sfondo prende, intanto, forma il nuovo Patto di stabilità, entrato in vigore a fine aprile dopo l’approvazione definitiva da parte dei governi e dell’Europarlamento. Il primo appuntamento da cerchiare in agenda è il 19 giugno, quando l’esecutivo Ue tornerà ad annunciare l’apertura di procedure per deficit eccessivo e questo dopo gli anni di pausa tra pandemia e guerra. La Commissione farà i nomi della dozzina di Stati che hanno superato il rapporto deficit/Pil fissato al 3%, sulla base dei dati 2023 e al netto della tolleranza prevista dai cosiddetti “fattori rilevanti” (come l’ammontare della spesa in Difesa). 

Tra questi Paesi, come certificato da Eurostat, ci sarà anche l’Italia, in compagnia di Francia e Spagna. Ma, secondo quanto si apprende a Bruxelles, l’invio dell’opinione circostanziata sul risanamento dei conti pubblici, che porta con sé la richiesta di aggiustamenti strutturali di bilancio pari a minimo lo 0,5% del Pil all’anno, dovrebbe attendere fino all’autunno prima di essere recapitata. Aspettando, cioè, un momento più propizio, superato il gran valzer delle poltrone dell’estate elettorale.

Nel frattempo, la corrispondenza tra Bruxelles e le Capitali rimarrà comunque folta: entro il 21 giugno, la Commissione condividerà con i governi le linee guida per tenere la spesa sotto controllo, compresa la “traiettoria tecnica” sulla sostenibilità del debito; mentre entro il 20 settembre toccherà agli Stati recapitare i loro piani pluriennali a medio termine su 4-7 anni. Il modello di dialogo serrato è quello già sperimentato con il Pnrr; il sentiero è il solito, stretto, tra riduzione del disavanzo e sostegno alla crescita.

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