Omicidio Nardelli: fu ucciso sotto casa a colpi di pistola. In quattro a giudizio

Omicidio Nardelli: fu ucciso sotto casa a colpi di pistola. In quattro a giudizio
di Mario DILIBERTO
Martedì 30 Aprile 2024, 09:00
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A giudizio quattro tarantini, accusati di essere i killer e i mandanti dello spietato agguato in cui, quasi un anno fa, venne assassinato il 62enne Cosimo Nardelli, conoscuto come «zio Mimmo», ucciso a colpi di pistola sotto la sua casa in via Cugini.

Il rinvio a giudizio è stato decretato ieri mattina dal gup di Lecce Maria Francesca Mariano che ha accolto la richiesta formulata dai pm Milto Stefano De Nozza della Dda di Lecce, e Francesco Sansobrino, della procura di Taranto. L’appuntamento è in Corte d’Assise con il primo appello in aula fissato per il 14 giugno. Dinanzi ai giudici tarantini, ad un anno da quel terribile agguato, dovranno presentarsi i tarantini Tiziano Nardelli, fratello della vittima, Paolo Vuto, suo figlio Cristian Aldo, e suo cugino Francesco Vuto, detto Kekko. I primi due sono accusati di essere i mandanti dell’esecuzione di Cosimo Nardelli, detto «zio Mimmo». Con loro a giudizio gli altri due Vuto, poco più che ventenni, indicati dagli investigatori come i due sicari che entrarono in azione la sera del 26 maggio dello scorso anno. L’agguato scattò nel momento in cui «zio Mimmo» uscì dal portone dell’abitazione in cui era tornato a vivere da sette mesi, ovvero dopo aver ritrovato la libertà. Alle spalle, infatti, la vittima aveva una condanna a venti anni di carcere per un brutale omicidio di mala. Quella sera, però, in via Cugini, i giovanissimi imputati gli avrebbero presentato un conto salatissimo per saldare il dissidio che si era innescato con il fratello Tiziano, ma di riflesso anche con Paolo Vuto.

L'omicidio

Nardelli venne centrato da due proiettili all’addome, proprio mentre stava per salire sul suo scooter. I due killer, dopo averlo colpito, si allontanarono a bordo della moto con la quale erano piombati all’improvviso sul bersaglio. Nardelli cadde sul selciato, ma ebbe la prontezza di rialzarsi e fermare un auto per farsi accompagnare in ospedale. Un’ora dopo il suo cuore smise di battere.

Sulla terribile esecuzione partirono subito le indagini della squadra Mobile che si indirizzarono immediatamente sul gruppo Vuto, peraltro già da tempo monitorato dalla Polizia e dalla Dda. Nel giro di poche settimane, quindi, gli investigatori del questore Massimo Gambino riuscirono a ricostruire il quadro in cui sarebbe maturato il delitto, ma anche una serie di episodi che hanno portato ad altre contestazioni, in particolare di estorsione e tentato omicidio, e all’incriminazione di altre due persone, anche loro rinviate a giudizio in Assise.

Alla base dell’omicidio ci sarebbe stato un conflitto tra fratelli per questioni di interesse.

Ma anche le ambizioni di un gruppo di “emergenti” della mala jonica. Tiziano Nardelli è ritenuto il mandante del delitto del fratello, accusa che peraltro ha subito respinto, ma che condivide con Paolo Vuto.

Rancori e soldi: i motivi

L’omicidio di «zio Mimmo» sarebbe il punto di arrivo di una contrapposizione scatenata da rancori e soldi, condita dall’accusa di mafia. Le ambizioni di scalata nel mondo criminale del gruppo Vuto, infatti, si sarebbero intrecciate con il dissidio divampato tra i fratelli Nardelli. Il livore sarebbe esploso dopo che il 62enne «zio Mimmo» avrebbe rimproverato al fratello di usufruire solo dei benefici economici di una cooperativa, attraverso la quota intestata ad una congiunta, ma senza lavorarci. Per questo avrebbe deciso di liquidare la coop. Quel progetto avrebbe mandato su tutte le furie il fratello. I tentativi di fargli cambiare idea, anche con l’intervento di Paolo Vuto, non avrebbero sortito effetti. Di qui la decisione di eliminarlo. Determinanti per la ricostruzione dell’omicidio si sono rivelate le intercettazioni telefoniche e ambientali con le quali gli investigatori della Dda da tempo stavano sorvegliando le manovre e i progetti dei Vuto.

Quell’attività, come si è detto, ha consentito di ricostruire l’omicidio di via Cugini, ma anche altri episodi collaterali. Tra questi anche il tentato omicidio di un giovane tarantino. Quel ragazzo avrebbe rischiato la vita solo per aver chattato con la ragazza sbagliata. Dettagli di un’indagine chiusa a tempo di record e che ora sbarcherà dinanzi alla Corte d’Assise. Oltre che ai quattro presunti responsabili del delitto, accusati di concorso in omicidio pluriaggravato dalla premeditazione, dal metodo mafioso, dal nesso teleologico e dall'essere stato commesso ai danni del fratello, nelle indagini sono rimasti invischiati altri due imputati. Si tratta del 23enne Ramazan Kasli, detto «Zoni», accusato, tra le altre cose, anche di tentato omicidio aggravato, e di una familiare dei Vuto, sospettata di aver detenuto una delle armi del presunto sodalizio. Ora gli imputati, che sono assistiti dagli avvocati Luigi Danucci, Salvatore Maggio, Fabrizio Lamanna, Daniele Lombardi, Andrea Maggio e Valerio Diomaiuto, dovranno affrontare il processo in Assise nel quale tornerà in gioco la richiesta di giudizio abbreviato avanzata per tutti gli imputati nella camera di consiglio di ieri. Nel processo, infine, saranno parte civile i familiari della vittima, rappresentati dall’avvocato Pasquale Buttiglione.

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