Ingegnere ucciso a San Giovanni a Teduccio, il giudice: «Killer nella villa del mandante»

Delitto di San Giovanni, il giallo delle magliette sportive a bordo piscina

L'omicidio a San Giovanni a Teduccio
L'omicidio a San Giovanni a Teduccio
Leandro Del Gaudiodi Leandro Del Gaudio
Giovedì 9 Maggio 2024, 09:22 - Ultimo agg. 10 Maggio, 07:35
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C’è un possibile elemento di prova che emerge dalle indagini sull’omicidio di Salvatore Coppola, ingegnere ucciso a San Giovanni a Teduccio lo scorso 12 marzo. Dall’incrocio di intercettazioni e sequestri, spunta un elemento su cui fa leva il giudice nell’inchiodare in cella l’imprenditore 73enne Gennaro Petrucci (come presunto mandante) e il 64enne Mario De Simone (come presunto esecutore materiale). È il caso delle scarpe e delle quattro magliette griffate (di marca Dooa) che sono state di recente rinvenute all’intero della dependance della piscina della villa in cui Petrucci viveva assieme alla moglie Silvana Fucito (un tempo teste coraggio, che non è indagata per il delitto Coppola). 

Tutto ha inizio da una intercettazione in cella, nel corso del colloquio tenuto da Mario De Simone con le figlie. È il 17 aprile, quando De Simone invita le figlie ad andare da «Zia Anna» (che sarebbe l’alias attribuito a Petrucci), invitandole ad andare a prendere «la roba sua». Più nello specifico, dice: «Là tengo due paia di scarpe belle... quattro magliette della Dooa... quello prende la borsa e te la dava...». Immediato è scattato il blitz da parte degli uomini della Squadra Mobile di Giovanni Leuci, che - in questa storia - stanno indagando assieme ai finanzieri del nucleo di polizia economica e finanziaria del comandante Paolo Consiglio. Cosa emerge dal blitz? «Si tratta di una conferma di assoluto rilievo investigativo, perché nei locali nella pertinenza della villa sono venuti fuori capi di abbigliamento, tra cui un paio di scarpe e 4 maglie nuove, riportanti ancora il cartellino di fabbrica, recanti la marca Dooa, nonché vari mozziconi di sigarette (su cui ci sono verifiche per risalire al profilo del Dna, ndr). Una conferma, agli occhi del giudice per le indagini preliminari Antonio Baldassarre, che consente di sostenere una versione in particolare: siamo nei giorni successivi al delitto di corso Protopisani, l’assassino non sa dove andare e si rifugia negli spogliatoi della piscina, nella villa di via De Lauzieres, a Portici.

Si sente braccato. Sa di aver fatto un errore, perché non si è accorto che l’auto usata per consumare il delitto, quella rubata un giorno prima del raid in via Argine, aveva il satellitare, quindi la fuga in casa del fratello non è più possibile. Si sarebbe rifugiato a Portici, per altro potendo disporre di una parte dei soldi che gli erano stati promessi per consumare il delitto, anche per acquistare vestiti griffati. 

 

Inchiesta condotta dai pm della Procura di Napoli Sergio Raimondi, Maria Sepe e Rosa Volpe, il 64enne Mario De Simone avrebbe consumato l’omicidio di Coppola in cambio di 20mila euro. Soldi ricevuti solo in parte. E il movente? La villa di famiglia Petrucci. 

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Già, proprio la villa nella quale De Simone si sarebbe nascosto alcuni giorni dopo l’agguato. Era il bene conteso nel corso di una asta immobiliare, nella quale Coppola sarebbe riuscito a strapparla alla famiglia di Gennaro Petrucci. A leggere le prime conclusioni investigative, i coniugi accusavano Coppola di aver preso parte all’asta per conto di un altro imprenditore dell’area est, quel Salvatore Abbate (estraneo alle indagini sull’omicidio), che qualche anno fa patteggiò una condanna nel corso del processo Sma (difeso dal penalista napoletano Leopoldo Perone, Abbate fece ritrovare alcuni milioni di euro nella cantina del suo garage). Ma cosa rispondono i due anziani presunti assassini? Difesi dai penalisti Melania Costantino e Antonio Bucci, gli indagati Mario De Simone e Gennaro Petrucci si dicono innocenti. E pronti a dimostrare la propria estraneità alle accuse, ovviamente al netto di quanto sta emergendo dal blitz e sequestri a bordo vasca della villa contesa di Portici. 

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